di Massimo Degli Esposti
Dottor Fava, lei porta un cognome importante: 80 anni di storia imprenditoriale, passando per tre generazioni. Per giunta nel Ferrarese, che non è un territorio a grande vocazione industriale. Come se lo spiega?
«Siamo di Cento. Che è sì provincia di Ferrara, ma culturalmente ed economicamente molto più legata a Bologna o Modena. Qui è molto forte la tradizione meccanica: Pensi alla Vm (ora FCA), alla ex Lamborghini e alla Fava stessa, che sono a un tiro di schioppo».
Anche nel resto dell’Emilia-Romagna, però, non sono tante le famiglie rimaste sulla breccia per quasi un secolo. Siete stati fortunati o lungimiranti?
«La fortuna serve sempre e ci ha aiutato perché abbiamo sempre trovato in famiglia qualcuno con la passione e le capacità per guidare le nostre aziende. Però abbiamo anche lavorato tanto per evitare le classiche crisi da successione. All’inizio degli anni Duemila eravamo arrivati a vivere i cosiddetti effetti di “deriva generazionale” e gli eredi soci erano diventati molto numerosi. Mio padre Enrico, io e mio fratello Luigi abbiamo allora deciso di dare avvio a un riassetto azionario creando la holding Relfin e liquidando parte degli altri familiari soci attraverso un family buy-out. Abbiamo così preso il controllo delle aziende e l’operazione sta peraltro proseguendo. E’ stato ed è per noi un grande impegno finanziario; ma alla fine abbiamo ricreato stabilità, chiarezza di riferimenti e continuità nella guida e nella gestione del Gruppo».
E subito è arrivata la grande recessione. Come l’avete superata?
« Con tanto lavoro, innovazioni di prodotto e di processo ed internazionalizzazione. Prima della crisi Baltur fatturava il 70% sul mercato domestico e il 30% all’estero. Oggi le proporzioni si sono invertite. Esportiamo per oltre il 70%, soprattutto in Cina dove siamo tra i leader di mercato. In passato abbiamo anche valutato la possibilità di produrre là, ma alla fine abbiamo deciso che Baltur deve restare un vero made in Italy».
Un altro colpo di fortuna?
«Eh no. I bruciatori sembrano macchine semplici ma non lo sono affatto. E norme sempre più stringenti su risparmio energetico, sicurezza, inquinamento atmosferico e acustico ci impongono continui investimenti in innovazione. Insomma, le ottime performances all’estero ce le siamo sudate e guadagnate tutte, lottando sul campo con grandi competitori italiani, come Riello e Ariston Thermo, e anche i colossi tedeschi/nordeuropei che sono leader di mercato».
Come si combatte il panzer del made in Germany?
«Con la flessibilità. Noi siamo in grado di fornire prodotti customizzati, siamo più elastici nei tempi di consegna, più bravi nel garantire un servizio personalizzato e non rinunciamo a curare anche il design del prodotto, oltre che la funzionalità . La grande dimensione è la loro forza, ma anche la loro debolezza perché li costringe a darsi un’organizzazione complessa che li rende rigidi».
Quindi la crescita non è il vostro primo obiettivo?
«Non può non esserlo. L’anno scorso Baltur è cresciuta del 10%, con un EBIT sempre attorno al 9%; anche quest’anno puntiamo a un +15/20% di fatturato. Siamo molto solidi e redditizi: non abbiamo nessuna necessità di forzare sui tempi. Preferiamo una crescita strutturale, con le nostre gambe e per linee interne, rosicchiando quote di mercato ai concorrenti con la qualità e l’innovazione».
Vuol dire che non vi interessano le acquisizioni?
«Per ora no. Ma non voglio ipotecare il futuro. Vede, se abbiamo raggiunto gli 80 anni d’età è perché adattiamo le strategie alle condizioni del momento, senza mai fare passi più lunghi della gamba… insegnamenti del nonno Augusto».
Lungimiranti, con judicio. Ma non ha un sogno nel cassetto?
«Abbiamo molti progetti, questo sì. Stiamo rinnovando tutta la gamma e già questo comporta investimenti sistematici in ricerca e sviluppo pari al 4-5% del fatturato. Quest’anno, poi, amplieremo il nostro laboratorio ricerca e prove con un investimento aggiuntivo di 5 milioni di euro. Sarà uno dei laboratori più grandi e avanzati al mondo. Nei prossimi due/tre anni rivoluzioneremo tutto il processo produttivo secondo i criteri di industria 4.0, con linee di assemblaggio robotizzate, una digitalizzazione spinta di tutte le funzioni aziendali, macchine intelligenti in grado di dialogare fra loro e interagire con l’uomo. Anche i prodotti diventeranno più intelligenti e potremo monitorarli e gestirli da remoto presso i clienti di tutto il mondo».
Fava Spa non merita nemmeno un accenno? Eppure è il cuore imprenditoriale delle vostra famiglia.
«Nella divisione delle responsabilità in famiglia spetta a mio padre e a mio fratello occuparsi di Fava Spa, anche se io, come amministratore delegato della holding Relfin non posso ovviamente disinteressarmene. Ma mentre Baltur è una media azienda emergente, Fava è da decenni una realtà leader con il 40% del mercato mondiale nel settore degli impianti per pastifici. Anche lì è indispensabile innovare per restare sulla cresta dell’onda, ma per quello c’è mio padre, che è un genio della tecnica in materia, e mio fratello che è un bravo amministratore delegato».
Lei in Baltur è AD e direttore generale. Non avete mai pensato di darvi un assetto manageriale?
«Certo che lo abbiamo fatto. Negli anni duemila ho composto un’ottima squadra di manager che lavora al mio fianco ed è responsabile delle funzioni chiave dell’azienda».
E se dovesse mancare una successione?
«Io ho 54 anni, mio fratello 56: penso che ci sia ancora tempo per vedere se fra i miei due figli e i suoi due, tutti molto giovani, c’è qualcuno con vocazione imprenditoriale. Se mancherà la successione, penso piuttosto che dovremmo seriamente pensare a uscire di scena, scegliendo un acquirente che possa garantire la continuità alle aziende e ai lavoratori».
Lei è past president degli industriali ferraresi. Rimpianti, ripensamenti?
«Un rammarico: essere stato presidente negli anni peggiori della crisi che a Ferrara ha fatto davvero grossi danni. Non dimentichiamo poi il terremoto del 2012 e la triste vicenda CARIFE, che era la più importante banca del territorio. Comunque non ho nessun rimpianto per la carica associativa, è stata un’esperienza utile e formativa ma anche un notevole impegno e io, come si dice, ho già dato. Ora ci sarà la grande fusione delle territoriali di Ferrara, Modena e Bologna, che avviai come progetto con gli amici e colleghi Alberto Vacchi e Pietro Ferrari; sono convinto che sarà un’ottima opportunità per le imprese ferraresi».